L’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR), che vuol dire desensibilizzazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari, è una recente tecnica psicoterapeutica, inizialmente nata per il trattamento del Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD), ma oggi usata per affrontare diversi disturbi clinici conseguenti a esperienze traumatiche.
All’interno di un piano terapeutico globale, l’obiettivo della tecnica EMDR in psicologia è di lavorare su esperienze e ricordi traumatici, sui quali si fondano problemi e disturbi attuali, attraverso una procedura articolata in otto fasi.
Caratteristica della tecnica EMDR è che, per aiutare il paziente ad accedere al ricordo e a metabolizzarlo, è chiesto allo stesso di concentrarsi sulla parte più disturbante del ricordo e su tutti i suoi aspetti (immagini, cognizioni negative, emozioni negative, sensazioni corporee), mentre gli è indotta una stimolazione bilaterale degli occhi (più o meno una rotazione completa il secondo, in un arco di tempo che va dai 20 ai 60 secondi circa).
Con l’avanzare della terapia, il paziente crea pensieri, stati emotivi e ricordi che s’integrano con le memorie traumatiche. Di conseguenza, l’aspetto disturbante del ricordo traumatico è risolto, e si ottiene così una riformulazione del trauma che porta ad una visione più positiva dell’accaduto.
Le origini della tecnica EMDR
La tecnica EMDR si deve alla psicologa statunitense Francine Shapiro. Un giorno del 1987, passeggiando in un bosco, iniziò a costatare che alcuni suoi pensieri disturbanti all’improvviso svanivano e che, riprovando a chiamarli alla mente, non avevano più la caratteristica di fastidio e disturbo. Inoltre, notò che quando i pensieri disturbanti riaffioravano, i suoi occhi si muovevano in modo spontaneo e rapido, avanti e indietro, seguendo una diagonale verso l’alto. La psicologa poté inoltre osservare che, richiamando alla mente i pensieri fastidiosi e muovendo intenzionalmente gli occhi, questi tendevano a perdere la loro caratteristica disturbante. Affascinata da queste intuizioni, Shapiro iniziò a dedicarsi allo studio di questi meccanismi e a una ricerca, che fu poi pubblicata nel 1989 sul Journal of Traumatic Stress.
Originariamente l’EMDR fu concepito come EMD, cioè una forma rapida di trattamento dei ricordi traumatici, utile per i soggetti con sintomi e disturbi post traumatici, che permetteva, attraverso i movimenti oculari, una desensibilizzazione delle memorie traumatiche.
Solo dopo la tecnica fu affinata, arricchita concettualmente ed empiricamente, con l’aggiunta della parola “Reprocessing” e trasformandosi così, in EMDR. Shapiro si rese conto che la procedura non solo produceva una desensibilizzazione, ma anche un’elaborazione delle informazioni.
Oggi la terapia EMDR è riconosciuta come uno strumento di psicoterapia efficiente ed efficace per il PTSD da parte dell’American Psychological Association, sulla base di prove empiriche ricavate da un progetto di studio condotto dal Dipartimento di Psicologia Clinica della American Psychological Association nel 1995.
Come funziona la terapia EMDR?
Il meccanismo alla base della terapia EMDR non è ancora del tutto chiaro. Shapiro suggerisce che la ristrutturazione e rielaborazione cognitiva avvengano a un livello neurofisiologico.
I movimenti oculari attiverebbero meccanismi simili a quelli del sonno REM: in altre parole l’elaborazione delle informazioni che avviene durante l’EMDR sarebbe simile a quella che avviene durante il sonno REM, come dimostrato anche da uno studio del 2007.
Altre ipotesi suggeriscono che gli effetti prodotti dalla terapia di Francine Shapiro siano legati alla suggestione ipnotica. Le ipotesi che riscontrano maggiore accordo sono quelle secondo cui il consolidamento dei ricordi sarebbe realizzato grazie alla cooperazione bilaterale dei due emisferi cerebrali, innescata dalla stimolazione oculare.
Le basi teoriche della terapia EMDR, presuppongono che in tutti gli esseri umani esista una funzione neurobiologica innata che tende all’elaborazione dell’informazione. Questo implica che, in condizioni normali, le informazioni in entrata sono elaborate e si trasformano in materiale adattivo che si integra in maniera funzionale con le esperienze e le informazioni del passato.
I problemi di questo processo possono sorgere quando l’esperienza non è adeguatamente elaborata, come ad esempio le esperienze traumatiche. In questi casi l’elaborazione dell’informazione non avviene in maniera adattiva e le informazioni rimangono isolate nelle proprie reti neurali, e non sono in grado di connettersi con altre reti di memoria. In tal modo, le informazioni rimangono racchiuse nel cervello nella loro forma specifica, ovvero immagazzinate come sono state provate al momento dell’esperienza, con le stesse componenti emotive, sensoriali, cognitive e fisiche.
L’applicazione in psicoterapia
La tecnica EMDR in psicoterapia, e in particolare nel trattamento del PTSD, permette di accedere alle informazioni memorizzate in maniera disfunzionale, e di attivare l’innato sistema che permette di elaborare le informazioni.
Quest’attivazione può avvenire grazie alla stimolazione bilaterale degli occhi, con l’obiettivo di creare collegamenti tra le reti della memoria e una memorizzazione più adattiva delle informazioni. L’EMDR, quindi, permette di creare delle associazioni tra informazioni non integrate e dissociate, e di accedere alle informazioni bloccate nelle reti della memoria, generando nuovi apprendimenti. Infatti, le informazioni disturbanti sono eliminate, mentre quelle utili sono integrate in modo adeguato e utilizzate come guida per comportamenti e decisioni future.
Secondo l’impostazione originale di Francine Shapiro, il protocollo EMDR è costituito da otto fasi. Ogni singola fase si dedica a un diverso aspetto del trattamento, anche se è bene ricordare che ciascuna fase può avere effetti sulle altre. Nel 2010 Dworkin ha concettualizzato la procedura dell’EMDR in tre stadi, all’interno dei quali sono distribuite le otto fasi:
Stadio I: Valutazione e preparazione
- Fase 1: Comprensione del caso in riferimento al trauma (raccolta anamnestica e piano del trattamento).
- Fase 2: Valutazione della capacità del paziente di tolleranza emotiva e consapevolezza delle sensazioni fisiche (preparazione del paziente).
Stadio II: Lavoro attivo sul trauma
- Fase 3: Sequenza di attivazione del trauma (assessment).
- Fase 4: Elaborazione attiva del trauma (desensibilizzazione).
- Fase 5: Collegamento a una prospettiva adattiva (installazione).
- Fase 6: Consapevolezza intensiva delle sensazioni corporee (body scan).
Stadio III: Chiusura e rivalutazione
- Fase 7: Debriefing (chiusura).
- Fase 8: Rivalutazione.
Fonti
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